Inversi Rachele De Prisco presso Montaione 2015

Pubblicato il 17 dic 2015

Antonino Contiliano, il 10 Ottobre 2015 (Montaione, Firenze) presenta INVERSI, libro di cui ha curato la prefazione. «Inversi» è la seconda raccolta poetica di Rachele De Prisco. La sua prima: «In mente accaCopertina WEBde». Ogni poesia contenuta in questa prima silloge è come un grappolo che ac-cade, senza un preavviso. Quasi un’inaspettata e imprevedibile vibrazione luminosa che prima si propaga come suono vocale/mentale, poi impressiona la lastra fotografica depositandovisi per poi essere ancora tra-dotta nelle forme della parola e dell’immagine. La poesia cioè come un evento testuale che nella cir-costanza si fa scrittura di una parola che cade; anzi una parola che ac-cade. Evento. E l’evento infatti non è mai pre-visto, solamente accade. E tuttavia, questo evento, chiede memoria e scrittura ancorata alla memoria. Lo chiede al soggetto come luogo dove lasciarsi custodire e, altresì, interagire come un altro soggetto: l’altro che chiede di essere accolto e legato con la tessitura della poiesis, il fare poesia non scisso dal proprio vissuto.
Una tessitura che in «Inversi» “attorciglia” parole che ac-cadono “isolatamente” (parola di poesia de-cadente?) e sintagmi che conoscono il non rettilineo, un articolarsi “diagonale” (quasi un clinamen) elegiaco e dilatato, che è anche una geometria iconizzata della pagina (una costante in questa nuova produzione), come mostra la poesia «Nessuno mi ascolta il silenzio»

 


Inversi di Rachele De Prisco

inversi

rachele de prisco

COLLEZIONE ARIANNAPOESIA

  1. Rachele De Prisco, Inversi

Copertina WEB

«Inversi» è la seconda raccolta poetica di Rachele De Prisco. La sua prima: «In mente accade». Ogni poesia contenuta in questa prima silloge è come un grappolo che accade, senza un preavviso. Quasi un’inaspettata e imprevedibile vibrazione luminosa che prima si propaga come suono vocale/mentale, poi impressiona la lastra fotografica depositandoci per poi essere ancora tradotta nelle forme della parola e dell’immagine. La poesia cioè come un evento testuale che nella circostanza si fa scrittura di una parola che cade; anzi una parola che accade. Evento. E l’evento infatti non è mai previsto, solamente accade. E tuttavia, questo evento, chiede memoria e scrittura ancorata alla memoria. Lo chiede al soggetto come luogo dove lasciarsi custodire e, altresì, interagire come un altro soggetto: l’altro che chiede di essere accolto e legato con la tessitura della poiesis, il fare poesia non scisso dal proprio vissuto. Una tessitura che in «Inversi» “attorciglia” parole che accadono “isolatamente” (parola di poesia decadente?) e sintagmi che conoscono il non rettilineo, un articolarsi “diagonale” (quasi un clinamen) elegiaco e dilatato, che è anche una geometria iconizzata della pagina (una costante in questa nuova produzione), come mostra la poesia «Nessuno mi ascolta il silenzio»:

che a volte vorrebbe parlare, dire la sua.                  [Arianna Attinasi e Rachele De Prisco]racheledeprisco-300x206

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Bisognoso mendicante assetato

sconcertato di fronte a tanto vuoto rumore di vita.

Vorrei dargli vita

morire

suggellando come premio quel piccolo pezzo di vita vissuto come uno chiunque snobbato come fanno tutti reso eroico unico totale

dal fatto che un giorno, quello che ti ha fatto rendere conto che tutta la banalità del tuo scorrere era quanto di più prezioso hai, hai dovuto perderlo con la morte scegliendo di restituire così alla banalità del tuo esistere tutta la sua immensità

«Inversi», quindi, rispetto alla prima “tentazione” (R. De Prisco, In mente accade), ha una struttura articolata più complessa: il suo ordine è del confine tra il “verso” e l’inverso, cioè un passo dove “in”, ci sembra, in questo contesto, può essere anche un “non”. Il “non” che, se da un lato disattiva il verso, dall’altro pratica un discorso della poesia che procede insieme con tratti del narrare e della prosa. Ma non per questo però la funzione-prosa di questi tratti trasforma il testo in anti-poesia (solo per un richiamo a margine, Baudelaire già scriveva: “io faccio prosa dei miei versi”).

La nuova raccolta di Rachele De Prisco è così un insieme operativo di “mescolamenti” scritto-testuali diversi: versi e “inversi”. Così «Inversi» transita in “inversi” (verso e non verso) come un mescolamento di scritture. Il libro di questa edizione contiene infatti documenti di vita (come lettere, il catechismo del perfetto avvocatomi prologo in versi) e una riflessione pluriarticolata. Quasi un archivio di varietà testuali: dediche poetiche (“A Nat Scammacca”-

De Prisco ha ricevuto il primo premio internazionale di poesia, inaugurato a Erice (2014) e dedicato al poeta siculo-americano Nat Scammacca (uno dei poeti fondatori dell’Antigruppo  siciliano); esergo; aspirazione alla narrazione e al “romanzo”.

Colpisce un allegato in lingua bastarda e vivace. La necessità, forse, di conservarne la freschezza e l’immediatezza dell’enunciato con l’esperito-pensato-detto. Qualche stralcio: «…il mio forcone tarcato SA 117528 mentre scentava via Niza si stornellava improvvisamente e si inficava con il musso sotto il musso di unaltra machina che stava ferma per i cazzi suoi….Vi esequio Vostro afezionatisimo…».

«Inversi» è un insieme che “attorciglia” biografia, esperienze, accaduti, memoria e istanze psicologiche in scrittura poetica come in un processo romanzato. Nel suo profilo biografico la stessa autrice, infatti, scrive: “Vorrei scrivere il romanzo che non ho per poter commuovere”. Un topos, il romanzo, e un luogo – il “vi” – dal quale la parola interiore si parte per esteriorizzarsi in versi e in un enunciato che, nel prologo di «Inversi», indica anche aspettative future, e nei termini di una soggettiva “effimera speranza”:

Scrivo solo ad attorcigliare intorno alle parole tutti quei sensi liberi e vaghi nell’effimera speranza che almeno qualcuno vi rimanga impigliato e ne faccia il mio romanzo.

In questo romanzo il “mio” di Rachele De Prisco, infatti, sta a indicare che il possessivo è la soggettività che emerge, e che i tratti della prosa che vi fanno capolino non ne fanno tuttavia una narrazione tout court. Le manca l’intreccio e la struttura propri.

Compaiono solo alcuni tratti e per tratti, e per di più in veste modalizzata. E ne dicono la presenza, camuffata (come è proprio della torsione della scrittura e del dire dei poeti), lì dove il verso porta sintagmi virgolettati e corsivizzati. Una scelta formale, questa, che (insieme) ha sia il sapore della desoggettivazione quanto della sua sospensione. Un’oscillazione che mostra la scrittura poetica tra una forma d’astrazione (che richiama il dubbio e la soggettività dell’io che comunica senza rinunciare all’espressività) e l’oggettività del racconto (non slegata dal proprio sentire singolare).

Cos’è mai infatti la presenza del virgolettato e del corsivo se non il richiamo per dire/dirci: stai/te attento/ti che quello che vedo, dico e scrivo, e che tu/voi leggi/te è altrimenti da quello che vedo, dico e scrivo! Basta uno sguardo alla sezione delle poesie raccolte sotto il titolo “La Radice” (da notare il maiuscolo “R” della parola Radice in quanto … segno e suono che vuole imporsi come un emblema particolare… o una scelta retorica che è insieme formale e al contempo rimando a un mondo spirituale che si racconta…). La Radice, come il cielo, è infatti corpo e memoria vivente che alimentano il sentire e la scrittura poetica di Rachele De Prisco. Una relazione danzante che riflette il suo universo e il suo divenire identità temporalizzata, o una danza tra il verticale del cielo e le radici nella terra (il corpo) che scrive i movimenti di attrazione e separazione dell’io poetizzante, occupando lo spazio mediano del “tra”.

E per incontrare questa sua certa tensione poetico-narrativa e psico-biografica, è sufficiente dare ascolto alla sua stessa voce nel luogo stesso dove le sue poesie affondano le radici: la terra d’origine (Sicilia) e le figure emblematiche che ne sono il fondamento: i luoghi particolari, la figura del padre, il nonno, il marito, i figli, la casa, la libertà del sentire del corpo e dell’immaginare. La figura del padre (per inciso) gioca anche il ruolo della sostituzione di un altro padre, Dio: “Non credo in Dio; credo che mio padre mi abbia aiutato anche in questo”. La potenza del cielo è scesa sulla terra e si è immanentizzata come potenza genitoriale, e la relazione è stabilita con il ricorso, ci pare, alla metonimia o alla sineddoche (le “radici”/ albero). Ciò è presente, per esempio, nelle poesie della sezione “L’albero. In esergo (in corsivo) la nostra autrice infatti scrive: “Ero indaffarata a ripiantarmi le radici / È bastato uno sguardo al cielo”.

Nelle poesie di questa raccolta, oltre ai doppi spazi bianchi e al gioco grafico che rende in immagine la stessa superficie della pagina, la comunicazione gioca l’espressione piegando il verso sia in direzione della brevità – una parola, un verbo (un gerundio che canta la durata in un assolo, un sintagma ridotto all’osso …– quanto rincorrendo le associazioni fono-semantiche (le “compagne di rima”), le anafore espressive concomitanti («… / i tuoi colori / i tuoi splendi umori /… », Gesualdo -Uno-) e la tensione tra ritmo e sintassi dell’enjambement ((«… / che il tempo non sciupasse / i contorni / …», Ivi). La poesia Gesualdo -Uno-, della sezione La Radice non dimentica neanche l’assunto del vocativo quasi-narrativo e gli indici della prosa: le virgolette, il corsivo, il dubbio, la domanda (il punto interrogativo):

A te devo
serenità e infanzia
Magico Borgo
dal tempo rapito
dove ogni scala
ogni mattone
ogni angolo
conserva per me
un ricordo sbiadito
/ …/
tra chiacchiere e salite
di te “quanto stai?”
di te “ma perché te ne vai?”

di certa bellezza.

immancabile appuntamento

Ma come il “Magico Borgo” conserva il ricordo, seppur sbiadito, anche il vento nel testo (Io e il vento) è segno di una memoria che associa e semantizza. Il fischiare del vento si dà infatti quale figura estetico-memoriale lì dove dà corpo al ricordo dei brividi e dei sussurri dell’interiorità della nostra autrice; un’interiorità cioè che cerca dei varchi per dirsi nella sua soggettività narrativa-poetica, e mediante una parola che insiste sull’intimità; in alcuni casi (come quando rievoca la figura del nonno) il dire della poiesis marca sugli affetti più familiari e li affida a una parola più semplice e immediata. In Io e il vento, il testo interamente in prosa che segue la poesia Gesualdo – Uno-, il vento non è solo un sibilare neutro, è un fischio segnaletico (un suono che non è solo asettica fisicità); è una voce che richiama e rievoca un “piccolo tornado” come una fantasmagoria che rievoca l’infiltrarsi erotico (immaginato) di quando al mare “alzava le gonne alle signore” (Io e il vento, in La Radice).

L’uso del corsivo e delle virgolette oggettivanti marca ancora questo pezzo di prosa. Ma non per questo il testo è meno evocativo e allusivo di quello in versi, o meno attento a non chiudersi in un ripiegamento tutto egoico. La voce della poeta, infatti, non smette di cercare varchi per esternarsi. Cerca il rapporto con il fuori, perché l’interiorità non sia solo un auto-piegarsi solipsistico, ma riflessione e volontà di incontrare il mondo. Il mondo che ha anche una realtà sua, il “silenzio”: l’altro. L’incontro con il mondo si dà allora come ascolto di questo altro, la cui indipendenza mette in forse la presa dell’io e la sua stessa piega di ironizzante riflessione, presente nel testo Male del secolo.

Siamo nella sezione Libertà del libro e delle sue sei poesie (Male del secolo, Arte, Meditazione sul bello, Fare poesia, Spirito inquieto, Sono guarito stamattina).

 

L’ esergo che precede è il segno più chiaro – «… / quello del silenzio / dell’ascolto.. / quello che riesce a riempire la tua essenza / così tanto / da farla traboccare / a farla vergognare..» – che ne indica gli sviluppi.

Per il resto e le altre sezioni (compreso il giudizio sulla loro qualità linguistica e stilistica differenziata) lasciamo che sia il lettore a leggere, tra le righe, i versi di «Inversi», noi chiudiamo la nostra nota con la stessa poesia Male del secolo (testo che cantilena fra le compagne di rima e quella equivoca: “…/Allora in cucina cucina! Ascolta la voce dei tuoi figli, /

anziché dar loro un telefono a farli stare tranquilli.”):

Che stupida cosa pensavo stamattina. Sto chiusa qui dentro alla cucina concentrata,
a far delle mie giornate il bello

su uno schermo che mi ha fottuto anche il cervello.

Lo ha sottratto a me ai miei figli e anche a Maria, la donna che fa pulizia, che per gioco e riposo ritrovare,
con pc si è messa a chattare.

Siamo anime o cammelli? Siamo manopole o cervelli?

Son sicura che una magia ci hanno serbato,
se a quello schermo con la testa ci hanno appiccicato, credendo che l’amore sia un filo
che se lo cuci stretto
con le mani
ti rimane sempre in petto.

Le amicizie nei tuoi giorni son rubate,
se così facilmente te le sei assicurate.
Non basta una foto un pro lo o una cartella a fare la tua vita di nuovo così bella.

Allora in cucina cucina! Ascolta la voce dei tuoi figli, anziché dar loro un telefono a farli stare tranquilli. 

La primavera la senti, sì, ma fuori sui prati

certo non esce da quegli schermi congelati.

Senti Tocca Conta chi sei? Ma non ti vedi? Stupido uomo Ingannato.
Da una ridente cella Incoronato.

I tuoi pensieri son d’oro prezioso
se commenti “mi piace” sei solo fazioso.

Ti sei scordato di ricordarti che esisti?

La condivisione non è un link. La comunicazione non è utopia.

Che stupida cosa pensavo..

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a cura di Antonino Contiliano

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Rachele De Prisco nuovo libro “Inversi”

Sabato 10 ottobre 2015 alle h. 18,00, presso il refettorio del Convento di San Vivaldo, Rachele De Prisco presenterà il suo nuovo libro “Inversi”pubblicato con la casa editrice Edizioniarianna di Palermo:  una raccolta in versi in chiave autobiografica

La presentazione vedrà la partecipazione della Casa Editrice nonché del poeta e critico letterario marsalese Antonino Contiliano, membro anche del movimento dell’antigruppo siciliano, curatore della prefazione del libro.

Intereverrano poi l’artista e poeta Massimiliano Bardotti insieme altre voci accompagnate al sax dal Luca Signorini ed alla chitarra da Stefano Montagnani, per evocare alcuni momenti del testo

L’iniziativa è organizzata dal Comune di Montaione a cura dell’assessore alla cultura Elena Corsinovi all’interno del programma “appuntamento con l’autore” e rientra nel programma della Regione Toscana dedicato alle biblioteche ed ai libri del mese di ottobre

Uscirà nel marzo 2016 una nuova raccolta dell’autrice.